Spazio Inter Artes in pillole #3

Sebbene gli eventi proposti dall’associazione Inter Artes nella persona e “custode” del tempio in Via della Volta Buia, Barbara Aniello, siano sempre di grande impatto, domenica scorsa, il pubblico presente è stato dolcemente trascinato in un affascinante e sconosciuto viaggio dentro sé stesso.

Emmy Parisi e Massimo Zarghetta, che si occupano di Biosofia, Focusing e Counseling, con la loro pace interiore che trapela dai loro sguardi e dalla soavità di ogni parola pronunciata, hanno incantato i presenti proponendo degli esercizi, apparentemente semplici, eppure in grado di portare l’interlocutore all’interno di sé.

La Biosofia dà voce al corpo, è un sapere attraverso il corpo e il Focusing è la capacità di prestare attenzione a sensazioni e desideri che non sono ancora stati espressi dalla mente.

Come dice il suo nome, “la mente mente” e il corpo, invece, “sa”.

Ascoltare il nostro corpo non significa considerare esclusivamente le sensazioni fisiche, ma “tendere l’orecchio” a ciò che avviene all’interno di noi, nel qui ed ora. Ad esempio: seguire il suono dell’aria fredda che entra nelle nostre narici durante l’inspirazione per poi uscirne calda nell’espirazione, significa permettere alla parte più intuitiva di noi di lasciarci guidare, magari riuscendo a compiere quelle azioni capaci di portarci verso una vita migliore, raggiungere un benessere e un sentire superiore, accompagnare le nostre scelte frutto dei nostri veri desideri non inquinati da giudizi precostituiti, di migliorare le nostre relazioni.

Nel percorso sinestetico che caratterizza il programma annuale di Inter Artes, è stato sorprendente dare voce al più silenziato e schiavizzato elemento di noi stessi: il corpo. A lui spesso ordiniamo di ubbidire, di non ammalarsi, di essere performativo, di essere efficiente. La rivoluzione del focusing consiste nell’ascoltare una volta tanto questo corpo-suddito. Le sue risposte sono sempre rivelatrici perché, come dice Emmy, “il corpo sa”.

 

Sabrina Sessa

Spazio Inter Artes in pillole #2

Si può parlare di angeli ovunque e immaginarli, banalmente, efebici ed eterei: figure incombenti dall’alto, rosate e paffute.

Ma Barbara, creatura lieve, insigne esperta di iconografia musicale (e di molto altro), ci assolve- con la leggiadria della sapienza- dalla fedeltà a una vulgata ormai consolidata: quella che narra di rubiconde figure celestiali senza sesso e senza peccato.

Ci addentriamo, così, nella complessità iconologica degli angeli musicanti: verrebbe da pensare, immediatamente, a Rosso Fiorentino col suo putto riccioluto che suona il liuto.

Ma l’arte è infinita, e infinitamente molteplici le sue creature: contempliamo- così- con rapimento, la bellezza celestiale del musico di Melozzo da Forlì (conservato nella Pinacoteca Vaticana) e, qualche momento dopo, gli angeli della Cappella Sistina: chi ha detto che sono sette? Tutto è controvertibile: anche nell’arte, dove nulla- ama ripeterci Barbara- è sbaglio o dimenticanza.

             L’anomalia, semmai, è un forziere che trabocca di significati all’ombra.

Scopriamo, inoltre, che i quadri parlano, anche, di una musica interrotta, e che il silenzio può essere dipinto. Lo ha fatto Giotto, trasmettendoci il senso di un’essenza (silente, laconica) che precede l’esistenza.

Scopriamo, persino, che si cela una musica nel Cenacolo Vinciano (intuizione mirabile di Giovanni Maria Pala che ha osato dedurre la partitura dalla gestualità apostolica).

Quella musica riusciamo a sentirla: “Sonus” (libro della collana diretta e curata da Barbara Aniello) la ricostituisce per noi (tramite i QR code che ne consentono la riproduzione). Chiudiamo gli occhi e, grazie al miracolo olofonico (frutto dell’ingegno di Fabio Brugnoli), possiamo vedere i cantori: davanti. Ma anche ai lati. Intorno. Ovunque. Minuti adamantini che ci sospingono indietro, consegnandoci a un tempo mansueto. Sorridiamo per questa piccola trascendenza in un luogo di pietra e di storia che sa rendersi cornice di estasi collettiva.

Ritroviamo lo spirito del tempo, quello dei dipinti e delle vite che ci hanno preceduto.

Di tutto questo parliamo (e parleremo ancora) a spazio “InterArtes” mentre, al volgere del pomeriggio, sorseggiamo, con gusto, una delle tante tisane proposte dall’azienda Picinni Leopardi (si percepisce la nota amarotica dell’ulivo, pianta fortemente simbolica, e dello zenzero: connubio singolare e accattivante). Buonissimi, in verità, anche i pasticcini (Gur.me MaDai), soprattutto quelli con la copertura al cioccolato: ecco, alfine, perfezionata la fusione dei sensi (gusto, olfatto, udito…) che ci inebria, ripristinando un dialogo primordiale.

Il tepore è quello di un grande camino antico. Il fuoco vivace (ma non luciferino) è attizzato da Barbara: poliedrica, inesauribile.

Usciamo con il buio. La musica è finita. Oppure interrotta. Oppure celata. Oppure, solo, sospesa.

Gli angeli continuano a sussurrarla per noi.

 

Paola Melis

Spazio Inter Artes in pillole #1

“L’intero universo è in un bicchiere di vino”

Così l’anonimo poeta scriveva, chiosando le qualità organolettiche ed emozionali della bevanda tanto cara agli antichi quanto ai moderni popoli civilizzati. E chissà cosa avrebbe aggiunto se fosse magicamente atterrato a Viterbo, bussando alla porta del duecentesco palazzetto Cybo, oggi Spazio Inter Artes, nel cuore del centro storico, che la domenica pomeriggio, da due anni a questa parte, anima la città con il suo insolito salotto della cultura?  

Certamente avrebbe apprezzato un modo di “fare” cultura altro, mai serioso, ma non per questo meno profondo, accanto al caminetto monumentale scoppiettante, acceso per l’occasione, in compagnia di amici di vecchia data e non, all’insegna del dialogo tra le arti. Guardandosi intorno si sarebbe scoperto spaesato, di fronte alla visione di audaci scale arditamente sospese, fatte di putrelle e legno, archi in pietra antica, frenati da monconi di ferro industriale, improbabili confessionali ridipinti di verde ottanio, usciti dalla rocambolesca mente dell’architetto e scenografo Giovanna Scappucci, che negli anni ‘80 ha qui inventato il suo atelier ora aperto al pubblico.

Travolto dall’eloquenza prorompente venata di commozione di Mathilde Bonetti, avrebbe sfrondato, come sequenze di un film, le scene tratte dal suo romanzo storico “Cieli di Piombo”, alternando sorrisi e lacrime. Episodi crudi, drammatici, altri onirici, a tratti poetici avrebbero suggerito alla sua fantasia gli inediti labirinti in cui l’uomo da sempre riscopre la sua più autentica fratellanza. E che dire di quella dedica all’Ucraina? Corsi e ricorsi storici… come se la guerra illuminasse al contempo i più sublimi ed abietti meandri umani.

E adesso tutti su, in cima, al terzo piano, inebriati dai tecnicismi entusiasmanti dell’enologo Michele Corti e dal respiro intenso di un vino, quello di Adriano Antolini, che ci racconta qualcosa di antico e di attuale, qualcosa di spontaneo eppure estremamente curato, echeggiando tecniche e sapienze lontane.

Cosa lega un romanzo storico ambientato nella Polonia del ‘39 a un Sangiovese nato sulle colline di Montefiascone? Su due piedi il poeta forse risponderebbe l’autenticità, la spontaneità, il coraggio. Siano questi gli “ingredienti” di un popolo sprezzante del pericolo che corre in aiuto di un altro, o di un agronomo che si fida delle sue uve semplicemente fermentate, senza ulteriori aggiunte, protagonista è sempre quell’amore per la terra e per l’uomo e quel rispetto per i suoi frutti e i suoi valori che sono oggi così rari. Persino nel vocabolario “complessità”, “profondità”, “persistenza” si addicono sia agli aromi, alla struttura, al gusto del vino, sia al carattere dei personaggi del libro: valori di una volta, espressi dall’inchiostro di Mathilde Bonetti, così come dai tre calici, rosso, bianco e rosato, di Adriano Antolini.

Ad un tratto la luce se ne va e il poeta si ritrova completamente al buio in via della Volta Buia…

Cosa resta della serata?

Che i migliori insegnamenti sono fugaci ma preziose scintille di luce, come quelle che in ascensore Indro Montanelli regalò ad una giornalista in erba: “se puoi scrivere una frase in cinque parole, usane tre”, “mai l’aggettivo prima del sostantivo”, “usa i punti, fai frasi brevi”.

Che in un mondo di narcisi e pavoni, brilla per contrasto l’umiltà disarmante di un produttore che si pone in sottrazione rispetto alla sua creatura: “ho provato a fare il vino naturale, poi mi hanno scritto dal Giappone tre volte. Non ci credevo, pensavo fosse uno scherzo. Hanno dovuto insistere perché lo esportassi”.

Cercando il succo della serata ci congediamo, riflettendo sul fatto che non ne abbiamo messo in pratica nemmeno uno dei consigli di Montanelli:

è sempre il lavoro che parla per noi e non ci sono piume o bollicine che tengano, quando il romanzo è autenticamente avvincente e il vino semplicemente esilarante.

Barbara Aniello

 

P.S. Se vuoi ascoltare il suono degli angeli musicanti la prossima domenica, prenota un posto accanto al focolare, berrai una buona tisana a base di foglie d’ulivo e assaggerai pasticcini gourmet: ars una, species mille: https://www.spaziointerartes.it/event/barbara-aniello-sonus-gli-angeli-musicanti-della-pinacoteca-vaticana/

Questo sito utilizza i cookie per offrirti una migliore esperienza di navigazione. Navigando su questo sito, accetti il ​​nostro utilizzo dei cookie.